Oggi affronto un argomento, suggerito da una lettrice ed amica, che ha per oggetto d'indagine il calcagno: un osso del piede che riveste un importante ruolo, peculiare nella nostra condizione di bipedi. Viene chiamato genericamente tallone, ma non bisogna confonderlo con il nome che usano gli inglesi, Talus, per definire l'astragalo, un altro osso che sormonta il calcagno per partecipare in prima linea alla formazione della caviglia. Il calcagno, dal latino calcaneum, con diversa forma e funzione rispetto all'astragalo, occupa la parte posteriore del piede con proporzioni considerevoli, sebbene dall'esterno non si direbbe perché il tendine d'Achille ne cela il profilo. Il peso che proviene dall'alto viene trasmesso, attraverso la tibia e la fibula direttamente all'astragalo, che ne invia una parte in avanti, verso il metatarso mediante le ossa cuneiformi, e poi in direzione delle prime tre dita del piede. Un'altra parte di questo peso, invece, viene trasmessa indietro al calcagno, oggetto della nostra riflessione, che comunica con le ultime due dita del piede con la mediazione del cuboide. Andrea Olsen, già citata autrice di 'anatomia esperienziale', chiama il primo percorso 'piede della caviglia', fondamentale fulcro di forza nell'azione di spinta durante la deambulazione, e 'piede del tallone' il percorso che passa dal calcagno e serve da stabilizzatore.
Evolutivamente parlando, le origini di uno sviluppo così massiccio del calcagno vanno cercate nel passaggio alla posizione eretta, che porta il tallone umano ad essere non solo la prima parte del piede che batte con forza contro il suolo, a differenza degli altri primati, ma anche a diventare un singolare contrappunto alla zona occipitale del cranio, che sporge notevolmente nella parte posteriore. Molto singolare come assetto, lo ammetto: il peso più gravoso del nostro corpo, il cranio con il suo contenuto, sta in equilibrio dinamico in cima alla colonna vertebrale, mentre il suo fulcro di stabilizzazione si trova nel punto diametralmente più lontano, sul pavimento. Ma la natura, si sa, non sempre segue le regole della nostra logica, sorprendendo per genialità, creatività e soluzioni talmente inaspettate che non verrebbero in mente neanche al più ardito degli ingegneri. Vi basterà osservare la tavola anatomica di uno scheletro di profilo per notare come la parte posteriore del cranio e il calcagno si trovino in stretta relazione spaziale e dinamica.
Ma veniamo a noi, al perché tutta questa ode al calcagno e in che modo queste informazioni possono essere utili al corpo danzante. Cominciamo col dire che in condizioni di normalità il calcagno si fa carico della maggior parte del peso nel sostegno del nostro corpo, mentre solo una piccola porzione viaggia direttamente in avanti, e questo già dovrebbe farci capire quanto sia importante, per la stabilità e il radicamento, utilizzare con consapevolezza questa parte del piede. In più, come abbiamo visto, il calcagno intrattiene un dialogo costante con il cranio, e quanto più riusciamo ad ancorarci al suolo attraverso questo appoggio, tanto più riusciremo a relazionarci con tutte le ossa dello scheletro secondo un allineamento profondo e leggero, che non richiede la forza della muscolatura superficiale per essere mantenuto.
La danza classica ha l'afflato di una cattedrale gotica, con il suo costante anelare verso l'alto, puntando il cielo con le sue guglie appuntite. Non è semplice comprendere con il corpo, a livello esperienziale, come per poter andare verso l'alto a volte sia necessario prima scendere. Nella condizione di en dehors, in particolare, nella quale la struttura deve adottare delle strategie alternative per mantenere neutro l'allineamento di testa, torace e bacino, il ruolo dell'appoggio plantare diventa decisivo. Abbiamo visto come il calcagno sia connesso con le ultime due dita del piede, proprio quelle di cui spesso di perde il contatto quando ci si trova in rotazione esterna delle gambe, con il piede che 'cade' in pronazione, rotolando in avanti. Per correggere questa tendenza possiamo affidarci al sostegno del calcagno, premendolo con forza contro il suolo per favorire l'appoggio di tutta la colonna di quinto e quarto dito, sostenendo al contempo la cupola plantare sull'altro versante. In seguito a questa spinta contro il suolo, riceveremo una risposta di uguale intensità ma in direzione opposta, che viaggerà verso l'alto attraverso le gambe, allineando la rotazione esterna in tutte le articolazioni degli arti inferiori, portando il bacino a sollevarsi e a trovare un assetto ottimale, ossia con la sinfisi pubica che punta in avanti come la prua di una nave, come ci suggerisce Steve Paxton, e non verso il basso o verso l'alto. Ma il viaggio non è finito qui, perché come per magia, in virtù di questo srotolamento verso l'alto, anche la testa beneficerà della corrente ascensionale, grazie alla sua stretta relazione con l'osso del calcagno, fluttuando delicatamente sopra alla prima vertebra cervicale. Sebbene nella danza classica sia richiesta una disponibilità dinamica costante, che si può ottenere mantenendo un po' più di peso verso le dita, rispetto a quello fisiologico, è importante anche fare esperienza consapevole del grande potenziale del calcagno per la stabilità dell'appoggio, facendolo partecipare alla spinta e l'atterraggio da salti e giri, per ritrovare in ogni istante la nostra connessione con il centro della terra, permettendo al tendine d'Achille istanti di allungamento e lasciando aperto il dialogo tra sommità della testa e suolo: se non è possibile eludere la forza di gravità, si può imparare ad usarla.