Una tragedia al femminile: Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde

di Giada Feraudo
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Ruoli femminili in primo piano. Questa è la costante che senza ombra di dubbio caratterizza il balletto Giulietta e Romeo di Fabrizio Monteverde con il Balletto di Roma, andato in scena il 17 gennaio 2018 presso il Teatro Colosseo di Torino.

Già il titolo ribaltato suggerisce la maggiore preponderanza della figura di Giulietta su quella di Romeo ma ancora di più ce ne accorgiamo quando, cercando di ripercorrere mentalmente i passaggi salienti della rappresentazione, ci rendiamo conto che fatichiamo, e non poco, a mettere a fuoco l’immagine di Romeo (va un po’ meglio con quelle di Mercuzio e Tebaldo) e ovviamente quelle dei personaggi maschili secondari quali il padre di Giulietta, pur immediatamente riconoscibile nelle versioni tradizionali, e quella del suo promesso sposo. Gli uomini, qui, sono quindi dei deboli, presenze timide ed evanescenti, che quasi non si fissano nella memoria dello spettatore. Le vere colonne portanti sono le donne. Le madri Capuleti e Montecchi (quest’ultima costretta su una sedia a rotelle, condizione che non scalfisce minimamente la forza di questo personaggio) soprattutto, solitamente considerate soltanto alla stregua di mere comparse, per Monteverde invece vere e proprie manipolatrici della vicenda con la loro costante ed ingombrante presenza.

Ad un Romeo troppo timido è necessario fare da contrappeso con una Giulietta a tratti esuberante e in altri momenti molto profonda, una ragazza che è in grado di prendere decisioni di cui si assume tutte le responsabilità e le conseguenze, forse un po’ meno bimba di quanto ci si aspetterebbe conoscendo altre versioni più tradizionali o il dramma di Shakespeare. Nella scena del ballo in casa Capuleti (in cui si possono riconoscere vaghe reminiscenze di Pina Bausch, con le donne che quasi sfilano in passerella, ancheggiando in tubini attillati), organizzato per far incontrare a Giulietta il suo futuro sposo designato dalla famiglia, mancano un po’ forse quella freschezza e quella leggerezza fanciullesche che dovrebbero caratterizzare un’adolescente ancora più interessata ai giochi che agli uomini. La Giulietta di Monteverde è invece già in questo momento decisamente più donna: sono inequivocabili, infatti, gli sguardi maliziosi che lancia a Romeo mentre ancora sta danzando con quello che dovrebbe diventare suo marito.

Perde un po’ di poesia il passo a due del balcone ma è decisamente fuori strada chi, in questa rilettura, ricerca il romanticismo: qui sono piuttosto il cinismo e un cupo desiderio di rivincita e di soddisfazione che serpeggiano in tutta l’opera. Non ne è esente nemmeno Frate Lorenzo, visto per gran parte del suo intervento di schiena o con il capo coperto, che, nel momento in cui offre a Giulietta il preparato che la farà sprofondare, secondo i piani, in un sonno simile alla morte, allunga una mano sotto il vestito della giovane, afferrandole una coscia.

Il muro semidiroccato costituisce quasi l’unico elemento scenico, insieme al letto di Giulietta, anch’esso ridotto a scheletro, adattabile così sia a stanza dei giochi all’inizio, sia a luogo d’intimità dei due sposi in seguito; proprio questo muro, simbolo delle rovine di un indefinito Sud del dopoguerra ma anche delle macerie da cui si ricostruirà, è estremamente polivalente. In una breccia fra le rovine si trova il balcone di Giulietta, idea astratta più che tangibile, e lo stesso muro si trasforma, nel finale, in una lugubre cripta che ospita tutte le vittime della tragedia.

In questa storia di morte e di morti l’ultima a togliersi la vita è Giulietta, disperata per aver visto morire l’amato fra e sue braccia. Lo fa però in un modo inusuale: si trafigge con un coltello ma non è la sua mano a impugnare l’arma, bensì quella di Romeo, che lei stringe nella sua. Il significato simbolico di questo gesto è grande poiché è come se la giovane non si suicidasse ma la vita le fosse tolta per mano di qualcun altro. Intendiamoci, Romeo non potrà mai diventare l’assassino di Giulietta in quanto egli è già morto prima di compiere l’atto, ma qui prende forma l’assunto ultimo della tragedia shakespeariana: morire per amore. È infatti l’amore disperato e impossibile, di Romeo e per Romeo, che uccide Giulietta operando attraverso la mano di lui.

Bello il cast, protagonisti Azzurra Schena e Luca Pancacci con i bravi danzatori del Balletto di Roma, per una produzione che dimostra un po’ i suoi anni nella coreografia e nei costumi (di colore rosso per i Montecchi, nero per i Capuleti), entrambi talvolta forse un po’ pesanti e rigidi agli occhi di chi è abituato a vedere certa danza contemporanea odierna (quella di qualità) ma che restituiscono un racconto essenziale, privo di sentimentalismi e di fronzoli, una storia crudele, tragica e immortale.

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