Vittoria Maggio: “Tango e Flamenco”

di Vittoria Maggio
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Finché c’è tango c’è vita ama posare l’occhio su eventi nuovi o innovativi che mantengano però fede a radici e cultura da cui provengono. Tradizione e innovazione è uno dei temi cari alla nostra rubrica.

Questa settimana l’occasione è ghiotta con lo spettacolo Complicidades che già nel titolo incuriosisce e ammalia.

Complicità, parola dal significato negativo alla prima definizione che si legge su qualsiasi dizionario, e invece legata strettamente  al concetto di amore di coppia, indicando quella sorta di connessione che unisce sguardi, gesti, emozioni senza bisogno di spiegazioni.

La complicità che porta in scena lo spettacolo, per la prima volta in Italia a Milano, unica città ospite, al Teatro Nohma Teresa Pomodoro, è quella fra due mondi, due culture, due balli così diversi e pur così affini come sono il tango e il flamenco. Musica, danza e canto, bandoneon, pianoforte e chitarra coi musicisti Marcelo Mercadante e Juan E. Cacci,  una forte base di tango sulla quale si innesta l’arte del flamenco sono gli ingredienti dello spettacolo.

La passione è il primo elemento che accomuna le due danze, così come ha raccontato alla nostra rubrica Claudio Hoffmann, “ el  duende” di Complicidades, il suo creatore, coreografo e interprete insieme a Pilar Alvarez, entrambi argentini con una lunga carriera alle spalle. La passione dell’abbraccio intenso del tango e di quel “vulcano interiore” che ha dentro di sé il ballerino di flamenco che “non sai mai che cosa gli stia passando per l’anima, per il sangue”.

Senza passione non si balla né il tango né il flamenco, senza passione non si balla certo, ma è solo in questi due balli che non la puoi “recitare”, la puoi solo vivere davvero.

L’improvvisazione é l’altro elemento comune e, racconta Hoffmann, ogni sera lo spettacolo è diverso, generando  così forte emozione non solo nel pubblico ma negli artisti stessi.

La storia, la cultura di entrambi i balli é legata all’emigrazione e all’incontro di genti differenti: arabi, ebrei e gitani che erranti dal Nord e dal Sud trovano nella terra andalusa  la loro casa a metà del XV secolo; spagnoli, italiani, francesi, e i tanti europei alla ricerca di una vita nuova che trovano casa alla fine del novecento nel bacino del Rio della Plata unendosi a indios, compadritos  e africani.

Lo spettacolo non vuole però fare una sintesi di questi due mondi similari, “li  vuole piuttosto associare”,  continua Hoffmann, in un dialogo nei punti d’incontro e  di contrasto “senza farne una fusione” ma generando piuttosto un ”gesto poetico”, una complicità di emozioni elevata alla ennesima potenza.

La sangre flamenca é interpretata dal ballerino sivigliano, ribelle per natura e autodidatta per necessità, Amador Rojas, fra gli altri allievo del grande Antonio Canales. Rojas esprime la passione dell’abbraccio del tango nei suoi piedi, nella forza e nell’energia del suo taconeo e nell’intensa gestualità sfrenata e ammaliante delle sue braccia.

Il forte contrasto tra tango e flamenco sta proprio nell’abbraccio di uno e nei piedi dell’altro.

Le braccia del tango sono racchiuse in un reciproco incontro, le braccia del flamenco sono lanciate verso il cielo, in una disperata e sfrenata ricerca di energia che pervada l’intero corpo e si incontri con quella proveniente dai piedi che danzano sfrenati e ipnotici in un infinito e crescente ripetersi dei suoni generati da loro stessi.

Alla cantaora Imma La Carbonera é invece demandato lo spirito del cante jondo, il tipico canto profondo, lamentoso addolorato che chissà da quanto lontano arriva, così differente dal melodioso canto di Carlos Gardel che pur racconta sofferenza nei suoi tanghi cantati.

C’è più terra profonda nel flamenco: se un bravo ballerino di tango deve avere I piedi al piso, un flamenquero ha la il centro della terra stesso che,  come un terremoto, gli fa danzare I piedi.

Se il tango é l’espressione di due persone che diventano una, nel flamenco è il grido solitario che resta solo, disperato, senza alcuna possibilità di consolazione. Muto a volte, oppure esplosivo nel suo lungo lamento cupo  di dolore. Il tango consola, il flamenco no: ti spacca il cuore, lo fa a pezzi, là dove il tango lo ripara e lo accoglie.

Il ballerino di flamenco resta solo, solo nel mondo e nel suo errante viaggio; il ballerino di tango trova un compagno di abbraccio in qualunque parte del mondo si trovi.

La “sangre flamenca”, la forza della disperazione é contrapposta alla sensualità e all’amore avvolgente del tango.

Tutto questo sarà in scena sul palcoscenico di Complicidades il 23 e il 24 maggio: spettacolo nato proprio da un forte desiderio di ricerca, di Hoffmann e Pilar, di come far dialogare due mondi così diversi e così affini. Uno spettacolo che oggi può insegnarci tanto e forse dare una chiave di lettura e di svolta a un mondo, il nostro di oggi, dove l’integrazione  è solo una parola piena di 12 lettere, ma ancora vuota nel suo contenuto!

E come sempre Buon Tango a tutti, a chi lo balla, a chi inizierà a ballarlo, a chi solo lo ascolterà oppure lo guarderà, a chi lo ama e  a chi lo rifiuterà e male ne parlerà … A chi vive insomma perché Finché c’è tango c’è vita!

Un abbraccio

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